http://cineblabla.blogspot.com/2011/09/assassination.html
Si tratta di un film anomalo per la cinematografia statunitense,
potrebbe essere visto in abbinata a Permette? Rocco Papaleo di Ettore
Scola con Marcello Mastroianni, semmai. Nel confronto Scola batte senza
fatica Niels Mueller, soprattutto registicamente parlando, e Mastroianni
oscura il pur valido Sean Penn. Anche come protagonista femminile
Lauren Hutton distanzia Naomi Watts, ma in questo caso valgono più delle
capacità personali il fatto che Papaleo è stato girato nei favolosi
anni settanta (insomma, si può ammirare della Hutton molto più di quanto
viene concesso della Watts).
Onore al merito per Penn, che
interpreta un ruolo difficilissimo per un attore americano, quello di un
fallito senza speranze, tale Samuel Bicke. Narrato in flash back a
partire dal momento in cui sta registrando un nastro dove spiega i suoi
motivi per il gesto che sta per cercare di compiere (e che fallirà), ci
mostra per la prima ora una serie di suoi fallimenti che alla fine lo
fanno definitivamente uscire di testa. Il povero diavolo non avrà
nemmeno la soddisfazione postuma di essere uscito col botto. Finirà
invece dimenticato e ignorato da tutti.
Oltra al danno la beffa,
persino i distributori italiani del film si accaniranno contro di lui
cambiando inesplicabilmente il titolo originale che avrebbe potuto
essere tranquillamente tradotto e lasciato intero: L'assassinio di
Richard Nixon.
Non mi è sembrato un film semplice da vedersi,
anche per come viene mostrata la vicenda. Per tutta la prima ora, in
pratica, si ribadisce che Bicke è incapace di relazionarsi propriamente
con le altre persone, che non riesce ad adattarsi alla realtà, e che ha
aspettative irrealistiche dati i suoi talenti piuttosto limitati.
D'accordo, è un punto importante, ed è illustrato bene da Penn, ma mi
pare lo si tiri troppo per il lungo. Forse sarebbe risultato più
intrigante mettere prima la mezz'ora finale, e poi tornare indietro in
una sorta di indagine retrospettiva per recuperare i motivi di quel
comportamento.
In ogni caso si tratta di un lavoro interessante,
anche se prima di ammetterlo ci ho dovuto dormire sopra. Per come la
vedo io, lo spettatore dovrebbe essere portato a chiedersi cosa si
sarebbe potuto fare per evitare il tragico epilogo della vicenda, e
scoprire che in realtà non ci sarebbe voluto poi molto. Una migliore
educazione, probabilmente; un servizio sociale decente che si facesse
carico di seguire persone che hanno problemi di integrazione,
certamente.
Nel corso della visione, mi sono venute in mente
altre pellicole che però, ripensandoci bene, ora mi pare che c'entrino
come i cavoli a merenda. Giusto per divertimento li elenco a seguire:
La ricerca della felicità:
Se Penn qui interpreta un poveraccio che ha qualche problema
caratteriale che non riesce a trovare nessuno che lo capisca e lo aiuti,
lì Will Smith interpreta un imbecille che confonde la felicità con il
denaro. Si potrebbe cadere nell'equivoco di paragonarli perchè qui si
cita Dale Carnegie con un accento molto critico, mentre quel (non)senso
della vita è molto vicino a quello veicolato dal film di Muccino. In
realtà in The assassination questo aspetto è secondario. A Bicke dei
soldi importa davvero poco, sarebbero solo un mezzo per ottenere la sua
versione di felicità, che sarebbe vivere con la sua famiglia e lavorare
con un suo amico.
Taxi driver: il tassista di De Niro non è un
perdente. Ha grossi problemi, nessuno se lo fila ma, in un modo o
nell'altro, alla fine riesce a ottenere quello che voleva.
Un
giorno di ordinaria follia: al personaggio interpretato da Michael
Douglas è andata bene per un bel po' di tempo, poi le cose hanno preso
una piega balorda. Lui perde il lavoro pur essendo perfettamente
inserito nel sistema - è il sistema non ha più bisogno di lui. Bicke il
sistema non riesce nemmeno a capirlo.
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